Diritto all’oblio: cos’è e in quali territori si applica
28 luglio 2021Ultimo aggiornamento 11 novembre 2024Tempo di lettura stimato: 4'
Diritto all’oblio è un diritto dell’interessato. Per inquadrarlo riportiamo uno stralcio tratto dal sito del Garante per la privacy italiano:
“Il diritto cosiddetto "all'oblio" (art. 17 del Regolamento) si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. Si prevede, infatti, l'obbligo per i titolari (se hanno "reso pubblici" i dati personali dell’interessato: ad esempio, pubblicandoli su un sito web) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi "qualsiasi link, copia o riproduzione" (si veda art. 17, paragrafo 2 del Regolamento). Ha un campo di applicazione più esteso di quello di cui all'art. 7, comma 3, lettera b), del Codice, poiché l'interessato ha il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati, per esempio, anche dopo revoca del consenso al trattamento (si veda art. 17, paragrafo 1 del Regolamento).”
Quando si è cominciato a discuterne e in quali territori vale?
Ne abbiamo parlato in un LIVE di RAISE Academy, l'Accademia di Formazione Efficace di PrivacyLab, con l’Avvocato Chiara Garofoli, Senior Legal Counsel nel team di International Litigation di Google LLC.
Regolato dall’articolo 17 del GDPR, il diritto all’oblio è un diritto dell'interessato per cui la persona fisica – l’interessato - può ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano.
Il Regolamento prevede che la cancellazione avvenga senza ingiustificato ritardo e impone al titolare del trattamento l'obbligo di cancellare i dati personali se, per esempio, non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati, se l’interessato ha revocato il consenso al trattamento o se i dati sono stati trattati illecitamente.
Si è iniziato a parlare di diritto all’oblio prima in dottrina, in giurisprudenza, dunque prima ancora che fosse codificato.
Il diritto all'oblio nell'Unione Europea, infatti, è stato riconosciuto con una sentenza della Corte di giustizia del maggio 2014 in una causa molto nota: il caso Google Spain.
Si tratta di una causa intentata da un avvocato spagnolo che non voleva più vedere associato su Google il proprio nominativo a una notizia risalente a una decina di anni prima, relativa a una procedura di esecuzione forzata di cui era risultato soggetto passivo. In prima battuta il soggetto si era rivolto all'Autorità Garante per la protezione dei dati del suo paese, ottenendo la prima decisione in cui un Garante ordina al motore di ricerca di procedere al delisting, cioè alla rimozione dei dati dall’indice del motore di ricerca.
Un inciso: all’epoca Google non poteva credere ai suoi occhi perché, anziché chiedere la rimozione dei dati personali al sito fonte, l’oggetto di una richiesta di rimozione di informazioni era Google stesso. Oltretutto si trattava di informazioni assolutamente corrette. Non si trattava di contenuti illegali, ma di informazioni lecitamente pubblicate e fattualmente corrette, pubblicate per adempiere a un obbligo di legge.
Infatti, la pagina di cui era stata chiesta la deindicizzazione era la pagina di un giornale spagnolo che, nella versione cartacea, aveva pubblicato degli estratti degli annunci dei tribunali fallimentari. A distanza di anni, lo stesso giornale aveva provveduto a digitalizzare il proprio archivio. Nel farlo, aveva digitalizzato anche la pagina in cui compariva l'informazione che comunicava come gli asset dell'avvocato spagnolo fossero stati sottoposti a sequestro.
Nel 2014, per la prima volta, viene stabilito che il motore di ricerca è titolare del trattamento dei dati personali delle pagine che indicizza e che i soggetti possono rivolgersi direttamente ai fornitori del servizio di motore di ricerca per chiedere una cancellazione (che, in realtà, altro non è che una rottura del link tra la ricerca per il nome dell'interessato e la pagina in cui è stata pubblicata l'informazione sull'interessato).
È stata una decisione davvero dirompente per Google.
Basti pensare che, dalla decisione della Corte di giustizia in poi – quindi dal 2014 - Google ha ricevuto oltre 1 milione di richieste di rimozione per diritto all'oblio, per un numero di URL che si avvicina ai 4 milioni.
Il diritto è ancora territoriale. La rete è globale, ma i diritti invocati sono territoriali. Questo è il motivo per cui, storicamente, Google ha sempre rimosso contenuti dalle versioni locali del proprio sito web, tranne casi molto particolari ed eccezionali.
La pedopornografia, per esempio, chiaramente è un illecito in tutte le parti del mondo, se però qualcosa è considerato diffamatorio in Italia, potrebbe non esserlo in Gran Bretagna e in altre parti del globo. Così come molti diritti di proprietà intellettuale sono legati a registrazioni valide in determinati territori: per esempio, posso avere diritto su un determinato marchio in Italia e nell'Unione Europea, ma non in Burkina Faso, dove qualcun altro può aver registrato lo stesso titolo di proprietà intellettuale.
Questo spiega perché i diritti sono territoriali e di conseguenza le rimozioni sono localizzate.
La prima grande eccezione è quella sul diritto all'oblio, che riguarda i Paesi dell'UE e questo ha portato Google a scegliere di dare attuazione al delisting (la rimozione) per diritto all'oblio su scala europea, quindi in tutti i paesi dell'Unione Europea e anche nei paesi dell'area EFTA - Svizzera, Islanda e Norvegia - poiché hanno dei sistemi giuridici che seguono la normativa privacy dell’UE.
Articolo tratto dall’intervento dell’Avvocato Chiara Garofoli su Raise Academy.
Questo era solo un assaggio!
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